Cos’è la pietà? Eutifrone e Socrate
Durante l’età periclea (circa 400 a.C.) ad Atene in Grecia, c’era un uomo chiamato Socrate. Era considerato un uomo molto saggio dagli ateniesi. Tuttavia c’erano uomini al potere che non si curavano di lui o dei suoi insegnamenti; sostenendo che corrompeva la gioventù ateniese e che non credeva negli dei greci, Socrate fu messo sotto processo.
Andando al suo processo, Socrate incontra un uomo di nome Eutifrone, un sacerdote professionista che è rispettato dalle “autorità” (coloro che vogliono sbarazzarsi di Socrate). Eutifrone è al tribunale per perseguire suo padre per omicidio. Socrate trova la cosa interessante.
Se Eutifrone può spiegare correttamente perché sta perseguendo suo padre per omicidio, Socrate potrebbe avere una comprensione della pietà. Questo aiuterebbe Socrate a difendersi, perché i procuratori conoscono e pensano bene di Eutifrone.
Socrate potrebbe quindi fare dei paralleli tra sé ed Eutifrone, che i cittadini rispettano molto, portandogli così rispetto e libertà. È qui che Socrate inizia il suo dialogo con Eutifrone cercando la definizione di pietà.
Socrate vuole che Eutifrone gli insegni il significato di pietà, poiché Eutifrone si considera un’autorità in materia. In questo dialogo Eutifrone dà a Socrate quattro diverse definizioni di ciò che crede sia la pietà, nessuna delle quali risulta soddisfacente per Socrate, lasciando alla fine la domanda senza risposta.
La prima definizione che Eutifrone fornisce a Socrate è che “il pio è fare ciò che io sto facendo ora per perseguire il malfattore” (Platone, Eutifrone, Grube trans., p. 9). Questo è solo un esempio di pietà, e Socrate sta cercando una definizione, non una o due azioni pie. Socrate dice “non mi hai insegnato adeguatamente quando ti ho chiesto cosa fosse il pio, ma mi hai detto che quello che stai facendo ora, perseguire tuo padre per omicidio è pio (Loc. cit., 6d, p. 10)
Socrate vuole sapere cosa sia la pietà “attraverso una forma” (Loc. cit., 6e, p.10). Non vuole sapere quali cose o azioni sono pie, ma piuttosto cos’è la pietà stessa. Non si può definire qualcosa semplicemente dando degli esempi, quindi questa definizione non soddisfa Socrate.
Eutifrone dà a Socrate la seconda definizione. Egli sostiene che “ciò che è caro agli dei è pio, ciò che non lo è è empio (Loc. cit., 7a, p. 11). Quindi la pietà è determinata dagli dei. Secondo questo argomento, questo non può essere vero perché, come possono tutti gli dei trovare tutto pio quando ciò che è giusto per alcuni dei è ingiusto per altri, e ciò che un dio trova bello un altro non lo troverebbe.
Hanno differenze di opinione. “Gli dei sono in uno stato di discordia, che sono in contrasto tra loro” (Loc. cit. 7b, p.11). “Considerano cose diverse solo belle, brutte, buone e cattive”. (Loc. cit., 7e, p. 12). Questo è un buon argomento in quanto, gli dei non sarebbero d’accordo sulla pietà, quindi la pietà non può essere semplicemente ciò che è caro agli dei. Deve essere qualcos’altro.
La terza definizione che Eutifrone afferma è che “Il divino e il pio è una parte del giusto che è la cura degli dei, mentre quello che riguarda la cura degli uomini è la parte rimanente della giustizia” (Loc. cit., 12e, p. 18). Eutifrone ritiene che perché l’uomo sia pio agli dei deve imparare a fare ciò che è gradito agli dei.
Avere cura degli dei è fare un servizio per gli dei. L’allevatore di cavalli si prende cura dei suoi cavalli, l’allevatore di bestiame si prende cura del suo bestiame, e lo schiavo si prende cura del suo padrone. Queste sono tutte azioni pie destinate a compiacere gli dei. “Se un uomo sa dire e fare ciò che è gradito agli dei nella preghiera e nel sacrificio, queste sono azioni pie” (Loc. cit., 14b, p. 20). Questa definizione sembra portare all’idea che il sacrificio e la preghiera otterranno un uomo ciò che vuole dagli dei, purché sia considerato pio dagli dei.
Socrate chiede a Eutifrone “Sono un sapere come sacrificare e pregare” (Loc. cit., 14c, p. 20). Eutifrone “Lo sono” (Loc. cit., 14c, p. 20). Socrate afferma la quarta definizione: “la pietà sarebbe allora una conoscenza del modo di dare e di chiedere agli dei” (Loc. cit., 14d, p. 20).
Socrate dice che se questo fosse vero allora la pietà è un’abilità di scambio tra gli uomini e gli dei e che ciò che essi ottengono da noi è “onore, riverenza . . . e gratitudine” (Loc. cit., 15a, p. 21).
Socrate dice che gli argomenti di Eutifrone “girano in tondo, . . . o avevamo torto quando eravamo d’accordo prima, o, se avevamo ragione allora, abbiamo torto adesso. La quarta definizione ci porta a chiudere il cerchio, e a tornare al punto di partenza lasciando la domanda senza risposta.
Sembra che il dialogo tra Eutifrone e Socrate stia discutendo se esistano o meno degli assoluti o se tutto sia solo una questione di opinioni. La pietà è perseguire il proprio padre per omicidio? La pietà è ciò che è caro agli dei? Cosa la rende cara agli dei? Se è cara a un dio, non è cara a un altro?
La giustizia può essere divisa tra uomini e dei? La pietà è una sorta di abilità di scambio tra gli dei e gli uomini? In conclusione, sembra che la pietà non sia definibile in una sola forma e che possa essere giudicata in molti modi diversi da molte persone diverse. Sembra anche che queste domande non abbiano semplicemente una risposta, ma che continuino a porre la domanda.
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